Diario, news, storie da Cozzagrande

E' possibile che da qualche parte del mondo esista un luogo, una contrada che si chiami Cozzagrande. Qui è un luogo immaginario abitato dalle "cozze". Una cosa hanno queste di speciale che le distingue da tutti gli altri: è l'ostinazione eroica, oppure ottusa, dipende dai punti di vista, con cui si attaccano da qualche parte. Avranno pure tante altre qualità e difetti, come tutti. Ma uno riconosce una cozza perchè non si stacca più: sarà un luogo, una poltrona e perfino una sedia traballante.
Qui si racconta della cozza che è in ognuno.
E di una qualsiasi comunità o gruppo.
Quello che segue è un insieme di pagine di diario, di news, racconti, immagini della comunità di Cozzagrande. Seguendo la numerazione si ricompone il filo storico degli eventi. Ma non è necessario attaccarsi a quest'ordine per confondersi le idee.
Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.

26/09/07

88- Come Pazz’Esco e Red Loop sgonfiano con ingegno la bolla speculativa generata da un insospettabile affabulatore. Storia di rane e cozze.

A Cozzagrande-di-Là i cozzari del Gran Giurì e le cozze si stavano incartando ciascuno per conto proprio. Era tutta colpa della cozza che si metteva sempre di mezzo, tra i primi e i secondi, quel tal Pazz’Esco. Infatti, questi era talmente incartato di suo, che quando i cozzari una volta e le cozze l’altra si adoperavano per liberarlo dalle carte, vi si trovavano loro stessi sempre più incartati. Ormai era tutto uno stropicciare di carte e non si combinava più niente. C’era chi faceva finta di leggere le carte. Si vedeva che era per finta perché il più delle volte le cozze stavano sottosopra rispetto allo scritto. C’era chi moltiplicava le carte fotocopiandole a più non posso, ottenendo da stropicciature e false pieghe bellissimi effetti in ricche gamme di grigi. Una si era procurata perfino un tritacarte dove infilava malloppi appena rilegati con eleganti dorsetti a spirale. Ed era tutta una frenesia, mentre Pazz’Esco continuava a rilasciare le carte da cui era incartato e con cui si incartavano tutte le cozze che incappavano in lui. Di tanto in tanto arrivava la cozza del bar con vassoi di caffè. E allora era un generale sputacchiare per allontanare, in direzione dell’occhio del vicino, i frammenti di carta che erano capitati copiosi sulle labbra di ognuno. Tutti si fermavano per una breve pausa.

Fu durante una di queste pause che la Cozza-dei-verbali-segretati, come colta da improvvisa ispirazione, chiese un po’ di silenzio. Quando l’ottenne prese a leggere da una delle carte recuperate da terra: “Racconta Esopo che le rane, afflitte per la loro anarchia, inviarono ambasciatori a Zeus per pregarlo di dare loro un re”. Si guardò intorno lusingata dall’attenzione suscitata: “Quello, resosi conto della loro stupidità, fece cadere nello stagno un pezzo di legno. Le rane prima si spaventarono per il tonfo nell’acqua e poi vedendo che quello rimaneva immobile, capito che si trattava soltanto di un pezzo di legno, lo disprezzarono fino al punto che salendovi vi si ponevano sopra. Poiché, però, mal sopportavano di avere un tale re, tornarono da Zeus per chiedergli di cambiarlo, perché colui che aveva inviato era troppo debole. Allora, Zeus, sdegnatosi contro le rane, mandò loro una biscia, da cui dopo essere state catturate venivano mangiate. La favola – lesse la cozza dei verbali segretati sottolineando con voce grave le conclusioni di Esopo – dimostra che è meglio avere capi miti e non malvagi piuttosto che turbolenti e cattivi”.

Terminato il racconto, ci fu un lungo silenzio. Come se avessero capito anche loro, le carte accartocciate rallentarono il loro crepitio. A parte lo stile stentato della traduzione dalla lingua originale di Esopo e a parte la banale conclusione, le cozze incominciarono ad interrogarsi guardandosi negli occhi – ovviamene quelle che non erano impegnate ad estrarvi i frammenti di carta - sul senso di ciò che avevano ascoltato. “Che c’entriamo noi con le rane!”, sbottò forte e chiaro, facendo sobbalzare tutti, Pazz’Esco, mentre si scrollava due cozze di dosso e tirandosi appresso il voluminoso codazzo di carte: “Quelle non sono cozze come noi!”. Nessuno aveva badato alla sua presenza durante il racconto. D’altra parte lui, dando per scontato che la cosa non lo riguardasse per niente, se ne andò a cercare qualche nuovo economics da vantare davanti al Gran Giurì dei Cozzari e nelle assemblee delle cozze che convocava a cuor leggero. Era solito farsi suggerire gli economics dalle cozze di altrove che incrociava per caso lungo il percorso. Questo garantiva grande originalità ai dati, che così potevano essere annunciati con grande enfasi.

Ad ogni buon conto, la Cozza-dai-facili-rendiconti calcolò che un eventuale mangiatore di cozze ci avrebbe messo mesi a decimare la popolazione di Cozzagrande. L’indigestione che si sarebbe procurato fin dalla prima cozza sarebbe potuta risultare esiziale. Tuttavia qualcuno sarebbe sopravvissuto. “E Cozzagrande sarebbe rinata ancora una volta e sarebbe stata più bella e grande che pria”, l’interruppe la Cozza-di-lungo-corso ansiosa di deviare su un lietofine standardizzato.

Ma a chi corrispondeva il re travicello? E chi era Zeus? E chi era la biscia? Prendeva origine da questi semplici interrogativi la bolla speculativa delle scommesse su chi fossero i referenti reali della metafora delle rane e del loro re malvagio.

Alcune cozze, a proposito del re travicello, sostenevano che si trattasse senza ombra di dubbio di Pazz’Esco. Infatti da quando era arrivato lui a Cozzagrande c’era l’anarchia con l’A cerchiata maiuscola. Ma altre cozze propendevano per la tesi che Pazz’Esco fosse piuttosto il re biscia. Solo che nella confusione delle sue idee, aveva preso a divorare per prima i cozzari e prima di tutto il loro capo Fuoc’Amico, anziché le cozze ansiose di essere comandate. E Fuoc’Amico doveva essere invece Zeus in terra di Cozzagrande. Nient’affatto, contestavano altre cozze: Fuoc’Amico era re travicello. Figurarsi che doveva essere la biscia che lo avrebbe dovuto sostituire! E Zeus che manda travicelli e bisce doveva essere allora ToutanCàmen. Oppure. Fuoc’Amico corrispondeva al re biscia, che aveva preso a divorare prima Pazz’Esco e poi avrebbe fatto lo stesso con il resto delle cozze. Ma poi qualcuno incominciò a sostenere che re travicello non era altri che ToutànCamen in persona. Mandato da chi? E poi incominciarono a circolare a proposito e a sproposito i nomi di Grande Sughero, della Cozza-della-chiave-dell’acqua e altri.

E così la bolla speculativa delle scommesse su chi fosse l’uno o l’altro dei personaggi della favola continuava a gonfiarsi, gonfiarsi... E qualcuno incominciava a fare i margini suoi vendendo informazioni riservate agli scommettitori. Insomma meglio sarebbe stato se la Cozza-dei-verbali-segretati avesse subito riaccartocciato il foglio con la favola senza mettersi a leggerla. “Leggi la favola a ritroso, dall’ultima alla prima parola e dall’ultima alla prima lettera”, tagliò corto Pazz’Esco, accorso dopo essere stato sommariamente edotto e dopo aver consultato per telefono Reed Loop. “Questo – era la spiegazione congiunta dei Due – riporterà tutto indietro e le cose ritorneranno come prima. Come niente fosse stato!”.

Qualcuno pensò ad una sottile vendetta di Pazz’Esco perché nessuno aveva voluto accettare le sue scommesse, per paura di rimetterci anche la posta. Infatti in caso di pagamento, Pazz’Esco era solito ritrarsi. Comunque, con la lettura al rovescio ci fu il grande puf della bolla speculativa. E fu un gran danno per molte cozze, che ancora di più pensarono che Pazz’Esco era la biscia.